Poesie Premiate 2020, con motivazioni critiche

Or che sciabordio rugge in cor…   prima classificata

Falesie d'animo, quelle granitiche rocce
scolpite da irose onde, algido maestrale
e con iridate venature, van digradando,
come vita, in cale d’alabastra cipria,
mitigate da spumose acque cristalline,
ove s’appresta notturna ombra, e la mia.
Col vespro incedere, ebbrezza è di sensi,
tra folti cespi rosa d’ortensie ed oleandri
nell’olezzante vagar di mirto che ristora.
Sulla riva, la mia solitudine d’orme scalze
sradica conchiglie incastonate nella rena,
bramosa d’usciolare il canto della risacca.
S’accoccola l’animo sulla soglia della vita,
carezza orizzonte d’arabescata ametista
e vascelli di ricordi sino al calar di china
che srotola sidereo sciame, pur in mare:
m’accolgono miti flutti trapunti di faville,
rorido abbraccio e dolci baci di salsedine.
Il vuoto vivere s’empie del canto di sirene:
l’acqua salmastra sana dolenti piaghe
e annega il carpito declino del mio tempo.
Mare, giaciglio d’animo, in te rinasco:
sei d’amore nelle vene, sei pace nel cuore,
sei riso negli occhi, sei forza nel pensiero.
Il solfeggio d’onde è balsamo di vita nuova:
di placide note è pentagramma d’animo,
nel sereno palpito d’un nuovo giorno…
Or di salsi refoli poetici son le mie sponde,
or d’aspersa marea d’amore i miei fondali:
verrà l’aurora ed avrà il canto tuo, o mare!

autore Stefania Andreocci
La poesia offre ab origine  una cifra stilistica squisitamente musicale, si apre  già nel titolo -attraverso l’allitterazione dominante- una ricerca di concordanze foniche sublimi.                                                 Or che sciabordio rugge in cor: si puó ascoltare la forza delle “erre” che risuonano come nella mirabile conclusione di “Alla Sera” del Foscolo, laddove il poeta-militante esprimeva tutta la potenza della personale -ed insieme universale- inquietudine: “e mentre io guardo la tua pace dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Qui l’autore di “Or che sciabordio rugge in cor” vuole abitare, in forza di una precisa e solerte cura per la scelta lessicale e l’esercizio di un fermo controllo, un “nuovo estetismo”, che risulta più vicino all’esplosivo e lussureggiante verso dannunziano. Il linguaggio é aulico, raffinato, basti intendere un passaggio, tra molti, di luminosa forza evocatrice: “Col vespro incedere, ebbrezza è di sensi”, il quale rivela lo spirito dell’opera, potremmo dire la weltanschauung poetica, protesa a dire, più che a rappresentare fotograficamente, ossia ad offrire nel verso un punto di vista d’armonia significante, come dono.                                                                                             Luce, suono, immagine, risultano, quali epifanie simboliche, sia nella bellezza delle singole parole e sia nell’efficacia del loro raccordarsi al ritmo interno della strofa e poi nella speciale coesione tra le diverse stanze e il tutto del componimento. Sono elementi di pregio, i quali, non rinunciando alla fluidità, promuovono una risonanza particolare e forse inattuale rispetto al livello del comune pargoleggiare.     È questo il segno di una necessità del poeta: ergersi dalle macerie del quotidiano, per ritornare ad un prezioso lirismo che schiude la bellezza antica.       Andrea Giuseppe Graziano                         


Potesse il mare - seconda classificata

Potesse il mare ammaliare la rena
con le sue unghie di candida spuma
proteggerla come la valva una perla
liberarla e riaverla al passo della risacca.
Potesse dirmi dell’eterna solitudine
di quegli isolotti vergini sperduti
che solo Dio sa come sono nati
e raccontarmi le cavalcate dei delfini
il sole quando veste ali di gabbiano
il buio nella censura degli abissi
dove mugolano carcasse di velieri.
Potesse urlare, il mare, adirato
la pena di un barcone sovraffollato
l’altalena beffarda dei cavalloni
e quella bonaccia del mattino dopo,
faccia ipocrita sui sogni spezzati.
Potesse riposarsi nel covo di una baia
fra le case variopinte dei pescatori
ormeggiare le sue correnti stanche
come lampare sazie di pescato.
E potesse rigirarsi al vento agitato
come un bimbo che non trova sonno,
sfogare l’antica rabbia sugli scogli
dei porti dimentichi di abbracci.
Potesse leggere le labbra dei pesci
fiutare il sangue come uno squalo bianco
perdersi capodoglio fuori dal branco
tornare a sera, capitano di lungo corso.
Potesse vivere, sorridere, piangere
sarebbe, il mare, proprio come noi.
Autore: Flavio Provini
Una lirica folgorante “potesse il mare”, che sospinge la sua forza ritmica a partire dall’anafora del verbo in incipit -“potesse”- il quale evoca e chiama a raccolta le immagini naturali, come possibilità. Lo slancio versificatore non è proteso a descrivere, in modo oggettivo, perché in poesia si persegue l’incanto della reviviscenza interiore. Nei versi centrali si coglie la maestria di una poiesis dell’anima che desidera essere ri-compresa in un afflato più grande e vuole che gli si racconti: “le cavalcate dei delfini/ il sole quando veste ali di gabbiano/il buio nella censura degli abissi”. Sono immagini vivide, coese, vibranti, quelle che si snodano in tutta la lirica, quasi volessero sciogliere i nodi più stringenti e i bui angusti e crudi che abitano nel profondo in un accordo con l’amnios generatore.                    Andrea Giuseppe Graziano

Il vecchio pescatore     terza classificata

Muto rammenda il pescatore
sotto il sole le reti, lentamente.
Fissano gli occhi stanchi
un punto, all’orizzonte.
Troppo vecchio
per prendere il mare
– così dicono
e non sanno ch’egli serba intatta
la voglia di andare, di sentire
le voci e gli odori d’ogni porto,
intatti i sogni.
Nessuno conosce il suo segreto,
nessuno sa
che non può schiacciare la vecchiezza
la sua voglia di vita,
il desiderio di sentirsi addosso
la brezza pungente del mattino
e sulla pelle il sole, mentre solca
il mare immenso.
Non può restare avvinta a lungo
la sua anima alla terra,
senza mettersi in viaggio,
senza spiegare le vele.
Guarda il mare Il vecchio pescatore
e attende l’ora.
E quando più non lo vedremo sotto il sole
con le sue reti, sapremo ch’è partito
per porti ignoti, rincorrendo un sogno,
nella brezza
del mattino.
autore: Stefania Raschillà
È poesia del viaggio, di chi ama andare per andare, come moto proprio di un’anima cercante:
“Non può restare avvinta a lungo/ la sua anima alla terra”, soffia nei versi equilibrati ed asciutti l’autore.
La Poesia illumina non solo l’unione ancestrale del pescatore con l’elemento marino, ma anche il bisogno di un uomo che non si rassegna ai piccoli tremori, alle incertezze che fioriscono nella sua vecchiezza, e fino all’ultimo, di lontano, senza poter più varcare l’immenso degli “abissi amari” -per riprendere l’espressione congegnata da Baudelaire in “Albatros”- guarda il mare.
Fino all’ultima sua ora, quella che ogni uomo deve assumere a livello ontologico, anche l’eroe, il viaggiatore -persino quei novelli ulissidi delle pagine novecentesche- vinti dal segno dal tempo.
Andrea Giuseppe Graziano

Il mare, i tuoi occhi   quarta classificata

Cade il giorno
sul rumore del mare,
d’incanto s’accendono luci
e nell’oblio della sera
s’affievoliscono colori e frastuoni.
Vagano languide le voci
come ombre senza dimora
dentro i bianchi vicoli del borgo
e freme la banchina
immersa nel grande stupore.
La sera si veste d’abito scuro
e sedendo sopra le umide panchine,
offre il volto alla brezza leggera.
Il brivido di noi c’investe...
Hanno i nostri destini un retrogusto di sale.
Questa sera il mare, ha il colore dei tuoi occhi
e il suo, è il nostro respiro; la sua voce, la nostra.
Cade il giorno
e nel suo tonfo c’è un sussulto nuovo...
Oggi non esistono addii.

Autore: Carmelo Salvaggio
Lirica del paesaggio e della koinonìa. Accade raramente che nella scrittura -soprattutto in narrativa- si sappia descrivere con la stessa attenzione prestata alle funzioni topiche, il paesaggio, non come accessorio, ma come elemento che parli e dica qualcosa dell’interno. Federigo Tozzi, per esempio, seppe bene illuminare il paesaggio nelle pagine di “Con gli occhi chiusi” attraverso uno sguardo soggettivante. Influenzato dall’Espressionismo e probabilmente dalla nascita del Cinema la descrizione tozziana presenta un paesaggio “in movimento”, in divenire, perché cambia dinanzi allo sguardo dei protagonisti e dello stesso autore, a seconda della condizione emotiva. Nella poesia e in questa particolare lirica “Il mare, i tuoi occhi”, può scorgersi l’approccio di una  école du regard, ma in versi. L’autore mutua il suo punto di vista al lettore, la sua prospettiva, per condurlo nei meandri di un passaggio esistenziale della relazione amorosa nel paese marino.       Nei chiasmo dei versi conclusivi “Questa sera il mare ha il colore dei tuoi occhi/ e il suo è il nostro respiro; la sua voce, la nostra”, si giunge alla fusione con la natura, alla metamorfosi degli amanti e alla loro koinonìa con il mare: “il respiro”, “la sua voce”, nella figura retorica della personificazione, divengono elementi degli esseri desideranti. Pertanto la lirica si chiude con una promessa, viva, “Oggi non esistono addii”, la quale gode di una prospettiva d’eterno, nel presente.                                                                                  Andrea Giuseppe Graziano

Amori notturni di mare   quinta classificata

È a notte sospesa, che al mare
si affacciano gli astri riflessi
a braccetto di storie e pensieri.
La penombra sul sale ondeggiante
aggiunge al sestante
memorie che in galleggiamento
incontrano flutti di luna
corteggiata da Nettuno Tridente.
Per chi ascolta la prua
sono balli di echi e sentieri
che di ieri incontrano via;
sono sparsi riflessi di adesso
in ricerca dei propri se stessi
senza essersi persi.
Eccoli, attinti, gli amori notturni
tra presente e ricordi salmastri
che dopo il crepuscolo fiero
con coraggio sussurrano al tempo
sempreverdi orgogli di baci.
Tra abbracci a tribordo e a babordo
questi amori si parlano dentro
suggendo da dune argentate
i miei sensi che pescano e sento.

autore Marco Loria
Una poesia del gioco amoroso, in grado di trasferire un sentimento autentico, delicato, che si scioglie in baci ed effluvi di corteggiamento a cui persino gli elementi mitologici, come il “Nettuno Tridente” vogliono assistere, sì come il crepuscolo e la Luna -ritorna il tema romantico del notturno- e le dune argentate.
“Per chi ascolta la prua/ sono balli di echi e sentieri/ che di ieri incontrano via” suggerisce in una triade di versi il poeta.
E forse qui è la chiave: tutto parla, ci parla, e noi trasmettiamo qualcosa, nel prolungamento dell’anima che diviene sensibile e, finalmente, duttile alla percezione dell’altro che non sia consuetudine, accidente, impegno calendarizzato; tutto parla e parla anche di noi ma bisogna mettersi all’ascolto, come solo può chi riesca ad ascoltare la prua.                                                                                   Andrea Giuseppe Graziano

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