Poemi Premiati 2018

Primo Classificato       XXX EDIZIONE:
Lascia che sia il mare
(poesia d’amore)
Flavio Provini
Lascia che sia un’invadenza di spuma
a strappare alla sabbia i nostri nomi,
ché solo un fato vestito di sale
e vento possa sottrarli alla riva.
Lascia che sia la cipria della luna
a velarti il viso di luce ambrata,
e contorni la linea di un sorriso
sulle tue labbra già umide di baci.
Lascia che sian lucciole di lampare
a fissare sull’acqua un altro cielo
di stelle tremule come neoamanti,
concedendo a noi due seduti al Faro
un altro Eden dove cercare Dio.
Lascia, amore mio, che sia questo mare
a decidere di noi, come un padre
placido o irrequïeto quando serve:
saprà dirci se, prodi marinai,
spezzeremo gomene arse d’indugi
a sfidare onde, mano nella mano
o vivremo l’eterno sullo scoglio,
piegati alle chimere dei naufragi.
Ma prima lasciami morire piano
nei tuoi occhi verdi, cale smeraldine
sul tuo volto, mentre davanti a noi
quest’immenso scrigno di vita e morte
stasera, da fedele carillon,
ripropone ancora sulla battigia
la melodia che ci fece infatuare.
Motivazione critica
Poesia perfetta per il ritmo interno e la musicalità, anche nella scelta misurata dell’anastrofe, in cui l’accordo delle parole suona sempre bene in armonia col senso. 
Il mare è scenario della dolce complicanza d’amore e personaggio protagonista, nella terza strofa, del destino degli amanti.
Un ente dall’anima serena e terrifica, inquieta e lieve, a cui si affida l’Io lirico per trovare risposta, proprio nella sua forza ambivalente -“scrigno di vita e di morte”- e abbandonato al cupio dissolvi (“lasciami morire piano/ nei tuoi occhi verdi”), di chi si perde negli occhi dell’amata.
Il Presidente di Giuria Andrea Giuseppe Graziano




Secondo classificato
Padre - mare
 Mitzi Barbacini
Prua di nave vela di gabbiano
fende acque profonde,
buie e silenti.
Padre, Padre, padre
quanto braccio ti occorre
- ancòra – per tornare…
Sonda di luce il faro
a noi, figli del Capitano
ti porta,
l’amore è bussola al tuo cuore…
E noi, figli del Capitano,
nudi pagùri senza guscio,
sotto la coltre al buio
stretti ci stringiamo…
Motivazione critica
La lirica è intensa e autentica. 
Di quell’autenticità che richiama il distacco, il desiderio di ulissidi del XX secolo: è l'azione-riflessione-dialogo che realizza, con un lavoro di anni, la fusione tra l'Io e il Sé, il Sé Personale e il Sé Cosmico. 
C’è sempre un ritorno negli occhi di chi se ne va, e c’è un desiderio attrattivo spirituale in chi rimane. 
L’anima, possiamo dire, esplicita il Sé nell’iterazione “Padre! Padre! Padre!” seguita dalla splendida allitterazione “quanto braccio ti occorre / -ancòra- per tornare” (e “Padre” è -non a caso- in assonanza con “tornare”): è qui, nel richiamare la sua forza, che si gioca l’attesa, quella dei figli, nella condizione di esseri caduchi e spersi, di pascoliana memoria.
Il Presidente di Giuria Andrea Giuseppe Graziano



Terzo Classificato
Falò d’estate
 Carmelo Salvaggio
L’ultima onda
ci passa davanti spezzata
e s’infrange.
Tu,
insegui una inutile traccia sull’acqua
io,
lo stanco volo dei gabbiani.
Abbiamo negli occhi il confine
e dentro le pareti
di questa scogliera del cuore
pulsano appena battiti incerti.
Vorrei trattenere i pensieri, ma invano!
Mi sfuggono le gelide labbra
come rena di mare che cede alle mani.
Sono gli assorti pensieri...
Lontani.
Motivazione critica
La poesia incede grazie alle parole-verso “Tu… / Io” in concordanza con una determinata protensione alla sintesi; si dipanano gli sguardi dei protagonisti, da una parte all’acqua, dall’altra al volo dei gabbiani, quasi per difendersi dalla fatica di sostenere lo sguardo intimo, reciproco, quello rivolto all’altro qual è: altrove, lontano. 
Pertanto affiora dall’alveo dell’impossibilità, come dimensione esistenziale, la splendida terza strofa in cui il poeta ri-conosce -in sé e nell’altro- “il confine” negli occhi” e il cuore come pareti di “scogliera”, che, pure, non cessa di liberare “battiti incerti”, nella precarietà dell’esistere spersi e diversi.
In fine vorrebbe quasi fermare i pensieri, il flusso inesorabile, ma è nel decalogo del Poeta il dover scendere in profondità, coi versi, ché in altre parole la lontananza sarebbe indicibile.
Il Presidente di Giuria Andrea Giuseppe Graziano

QUARTO PREMIO
La luna e il pescatore
Dimmi, pallida luna
che in questa notte d’estate
guardi le miserie dell’uomo:
a che è valso lavorar sul mare
notte e giorno, come fosse una missione,
se all’età della pensione sono ancora qui,
a faticare con le solite persone…
Certo, gelida luna,
ho mandato i figli a scuola
e ho campato la mia famiglia
ma sono uscito a notte fonda,
facendo piano per non svegliar nessuno,
partendo al buio come a rubar qualcosa,
chiedendo scusa al mare per il disturbo.
Davvero, grande luna,
mi hai sentito bestemmiare
sotto lo sforzo sempre uguale
che ti ripaga o ti lascia di sale,
che la fatica a tirar su reti
è sempre quella,
ma se son vuote non mangi
e se son piene ricco non diventi.
Parlami, dolce luna,
che ne abbiam viste tante:
quando il vento fischia forte, il motore è sotto sforzo
e ti chiedi se stavolta torni al bar a raccontarlo
o ti chiedi se alle volte il Padreterno serbi rancore
o quando il sole al tramonto brucia il mare,
e vedi il porto che ti saluta:
bentornato, ti aspettavo.
Autore: Antonio Pellati
Motivazione critica
La lirica considera le domande ultimative filosofico-esistenziali rivolte alla Luna ne “Il Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi, trasponendole in domande sull’oggi -coerenti, incipienti, autentiche- dell’uomo di mare.
Sono le “questioni” di un Pescatore qui, solitario come l’altro protagonista leopardiano, a rifulgere nel centro di un dialogo con lo stesso Ente, muto dinanzi alla fatica umana, agli sforzi immani, eroici e arcani, di chi ha il sale sulla pelle e le ferite dei viaggi in mare, per sopravvivere.
La Luna è pallida, gelida, grande, finanche dolce, ma inesorabilmente distante.
Il Presidente di Giuria Andrea Giuseppe Graziano


Quinto Classificato
Bisogno d’immenso
(Al mare)
Velia Aiello
Sei il bisogno d’immenso
di uno sguardo senza barriere
verso un indefinito orizzonte
lontano dai sentieri del tempo
senza confini, teso alla trascendenza
Sei il bisogno d’azzurro
capace d’inondarmi di pace
con un abbraccio infinito
che tocchi il cielo e disciolga i segni grigi
dell’animo che si rigenera
in un respiro catartico
Sei il desiderio di profondità celate
di andare oltre la superficie
distillando i misteri dell’esistenza
esplorando negli abissi cristallini della memoria
le orme del passato
Sei la sete di libertà
appagata da dolci onde
che mi sospingono sempre oltre
in un anelito di volteggiare
in un ambito che sovviene l’eternità
Motivazione critica
Inno alla trascendenza. È questa la cifra poetica permeante i versi accesi di desiderio, fibrillanti dell’anelito che abbraccia tutto, il bello, la vastità, l’alto, il profondo, presente in “Bisogno d’immenso”.
La profusione della ricerca di assoluto, diviene emblema, traslato, cioè l’ingrediente primigenio della poesia tout court.
È tale forza di respiro ampio e purificante a guidare il lettore attraverso immagini che assurgono ad epifanie dell’Essere.
Il Presidente di Giuria Andrea Giuseppe Graziano

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