Poesie Premiate XXXVI edizione
L’effimera giovinezza Roberto Croce
Scintillano le creste
coronate di spuma
mentre l’onde s’adagiano
sull’oscuro letto di rena
e nel barbaglio dei riflessi
di un vivido chiarore
sotto la luna
un ricordo avvampa
e riluce d’argento
dentro lacrime di gioia
che annullano anche il tempo.
C’era il futuro scritto
su questa sabbia
mentre i sogni
seguivano il profilo
delle tue labbra
dal sapore di mare,
quando ogni tempesta
placava la sua rabbia
dentro la leggera brezza
di un tempo d’estate
nei giorni infiniti
dell’effimera giovinezza,
dove neanche il sole
osava tramontare.
DI VOCE SOLA Carmelo Salvaggio
Ti scopro oggi
vestito di nebbia e silenzio.
Pallido il sole,
evanescente si confonde
nel fluttuare di cangianti colori
mentre senza sosta
batte il mio cuore.
Voce antica, impetuosa
di perenne energia,
il tuo andirivieni è culla di sogni
e sparsi ricordi.
Va la mia vela
solcando questa bonaccia
nella ricerca dei tanti momenti
vissuti e consegnati
alla tua vastità.
Mare che mi muovi dentro
frangendo alla mia riva ogni onda,
non sia che i relitti
in te dispersi
gridino l’eco di voci
di martiri naufraghi
sopraffatti dal tuo abbraccio letale.
Capita spesso che anch’io mi perda
pur cercando di mostrare sicurezza
e capita che miseri, s’immergano
dentro l’amplesso dei tuoi flutti,
i miei pensieri e la mia voce sola.
LA LUNGA ESTATE
Me la ricordo bene quell’estate,
la lunga estate del Sessantanove:
quattordici anni, il mare, le cicale,
l’estate dello sbarco sulla luna
del grande passo per l’umanità.
Ricordo molto bene quell’estate.
Mia madre, la veranda, le telline
“corri Paoletto e porta un po’ di mare”
e il mare stava lì, a una sassata…
correvo a perdifiato sulla sabbia
coi miei secchielli sulla sabbia scura
rovente come il ferro degli etruschi.
Ricordo tutto ancora molto bene:
mio padre sonnecchiava in canottiera
mia madre che spurgava le telline
il pane contadino, i pomodori,
l’odore della resina in pineta,
lo scrocchio d’aghi secchi sotto i passi.
Niente è rimasto della lunga estate
eppure nell’autunno dei miei anni
se chiudo gli occhi ancora la rivedo
(è un attimo fratelli, solo un attimo)
ancora la rivedo quell’estate
la lunga estate del Sessantanove
l’estate che mostrò ciò che più vale:
mia madre, la veranda, le telline,
il mare… e quel frinire di cicale.
Echi d’onde
Ricordo il mare dei giorni passati,
quando la tua forza sfiorava le tempeste.
Onde che un tempo si infrangevano audaci,
ora si posano lievi sulla riva dell’anima,
portando echi di memorie nostalgiche.
Ti vedo guardare l’orizzonte lontano,
forse in cerca di tempi
che il vento ha disperso.
La tua debolezza mi commuove
e si palesa come una preziosa conchiglia.
Mamma, ora che il tempo ti lambisce soave,
scorgo il mare nei tuoi occhi farsi placido
e nel tuo essere così sensibile,
sei la mia ancora, il mio rifugio sicuro.
Smarrita, in questa marea oscura,
ti stringo forte sperando di placare
il vortice senza fondo
che minaccia di inghiottire il tuo sorriso stanco.
Nella tua fragilità trovo il coraggio
che non ha voce e nelle tue lacrime silenziose,
il riflesso di un Amore Eterno.
In questo avverso Mare.
Tace,
attento e silenzioso.
Assorto ad ascoltare i più remoti segreti e i dolori nascosti.
La Schiuma,
lenta ed impacciata,
tenta invano di purificare le antiche angosce che,
accompagnate dalla sinuosa corrente,
illudono,
ritraendosi per qualche secondo
e poi, disinvolte, tornano,
ancor più pungenti.
E, come scaglie taglienti di guscio di conchiglia,
insensibili,
feriscono i piedi nudi che cercano sollievo tra la sabbia bagnata,
fredda nemica.
Nettuno, con mendaci sorrisi e ingannevoli sussurri, induce ad immergermi.
Resisto.
Non c'è conforto in queste ostili acque.
Non c'è riparo tra gli oscuri fondali.
Ed io,
rassegnata all'amara sconfitta,
mi abbandono in questo avverso Mare.