Prima classificata anno 2025

 I Classificata

Abissi      di Maria Laura Veschi

Ero ragazza,
un’ombra fragile tra le onde,
il mare mi stringeva,
in un lamento sussurravo i miei dolori.
Le mie mani, tremanti,
cercavano conchiglie vive,
ma trovavo solo granelli
di sogni infranti
e sabbia ormai intrisa di pianti muti.
Un eco di sale e di vento
mi avvolgeva l’anima,
la vestiva di bruma
e di silenzi che urlavano dentro.
Io relitto, affondavo nel buio
sfiorando l’abisso più nero.
Eppure, amore,
sei arrivato come un’onda improvvisa
di canto selvaggio,
di fuoco che scioglie la nebbia.
Ora il mare è un grembo,
non più lutto, ma culla.
Mi accoglie, mi accarezza e mi protegge.
Mi chiama con il mio vero nome.
Mi fa donna,
mentre il mio sangue danza
in un eterno bacio di rinascita.
Motivazione critica di Andrea Giuseppe Graziano
Il testo poetico che, a una prima lettura, potrebbe apparire come una semplice lirica d'amore, in realtà cela una complessa e potente narrazione di trasformazione interiore.
Si rappresenta un potente racconto di profonda evoluzione personale, in cui il mare funge da metafora onnipresente e trasformativa. Il mare, infatti, subisce una radicale metamorfosi simbolica, passando dall'essere un'entità ostile e simbolo di sofferenza a un principio di accoglienza e rinascita. Questo cambiamento non è un evento esterno, ma riflette e accompagna il cammino interiore della voce narrante. La metodologia adottata è quella della "close reading" che si concentra sull'interazione dinamica tra la progressione tematica, le scelte lessicali e i dispositivi retorici, procedendo da una visione d'insieme del percorso emotivo a un esame dettagliato di ogni elemento costitutivo del componimento, delineando il percorso della voce narrante dalla desolazione alla pienezza.
La poesia si apre con un'immediata dichiarazione di uno stato passato: "Ero ragazza," che stabilisce una condizione di vulnerabilità, rafforzata dall’immagine "un’ombra fragile tra le onde": viene evocata l'immagine di un'esistenza priva di solidità, un'identità effimera e quasi inconsistente, definita dal suo rapporto con un ambiente che non è neutro, ma è percepito come entità ostile. Questa percezione del mare è rafforzata dalla personificazione "il mare mi stringeva," un'azione che evoca l'idea di soffocamento, di costrizione fisica ed emotiva. Il mare non è più un semplice sfondo, ma un agente attivo che imprigiona la sofferenza della voce narrante, incarnando così il suo stesso dolore interiore.
In questo stato di prigionia, si compie un'azione disperata e carica di simbolismo: cercare “conchiglie vive." Tale ricerca rappresenta il tentativo di trovare vitalità e speranza in un contesto di disperazione. Tuttavia, questo tentativo è destinato al fallimento, un punto cruciale per la comprensione del pathos della prima parte del componimento. Il risultato della ricerca non è la vita, ma la testimonianza di una distruzione: "granelli di sogni infranti" e "sabbia ormai intrisa di pianti muti." Questa scelta di immagini non si limita a indicare l'assenza di speranza; essa raffigura una violenta e definitiva fine dei sogni. La locuzione "pianti muti" è particolarmente rivelatrice: è un ossimoro che denota una profonda incapacità di esprimere il dolore. Le lacrime sono presenti, ma sono interiorizzate, rendendo la sofferenza insopportabile e silenziosa. Sovviene il verso Ungarettiano di “Sono una Creatura”: “Come questa pietra/ è il mio pianto/ che non si vede”. L'anima è avvolta da "un’eco di sale e di vento," una metafora che la riveste di un paesaggio interiore di malinconia e aridità. L'immagine della "bruma" che "la vestiva" può simboleggiare la confusione mentale e il freddo emotivo che la avvolgono, una nebbia che offusca la sua essenza. L'ossimoro conclusivo di questa fase, "silenzi che urlavano dentro," sintetizza magistralmente lo stato di un trauma represso, di un grido interiore che non può essere udito all'esterno.
Il culmine di questa discesa emotiva si manifesta nella potente autoidentificazione: "Io relitto." Questa metafora trasforma l'identità in un simbolo di rovina e fallimento, equiparandola al relitto di una nave, l'incarnazione di un disastro avvenuto. L'espressione "affondavo nel buio / sfiorando l’abisso più nero," é un percorso non solo di discesa fisica, ma una rappresentazione diretta dello sprofondare in un abisso di disperazione esistenziale.
Andrea Giuseppe Graziano

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